
a cura di
Alessia Minellono e Marzia Gaglione
Difficoltà scolastiche, disturbi specifici dell’apprendimento, disturbi d’ansia da prestazione, disturbi dell’attenzione e iperattività, rappresentano attualmente le principali ragioni di presa in carico psicologica in età evolutiva.
Questo campo è stato fino ad oggi oggetto di studio della neuropsicologia e anche dal punto di vista clinico, quando un bambino arrivava in consultazione si andavano ad indagare prima di tutto e principalmente le sue competenze strumentali, le abilità neuropsicologiche e il profilo cognitivo.
Attualmente però si sono sviluppati numerosi filoni di ricerca che mostrano come le difficoltà di tipo emotivo e relazionale possano influenzare negativamente le possibilità di apprendere di un individuo.
La riflessione che vi proponiamo qui di seguito ha proprio come obiettivo invitare genitori, insegnanti e chiunque altro ruoti attorno ad un bambino, a prestare sempre più attenzione al legame che c’è tra lo sviluppo emotivo e la capacità di apprendere.
Quando si parla di aspetti emotivi e relazionali ci si riferisce alla capacità di una persona di saper regolare le proprie emozioni, di saper entrare in relazione con gli altri in maniera adeguata e positiva e di riuscire ad adattarsi ai diversi contesti sociali che la vita offre.
Lo sviluppo emotivo di un bambino dipende dalla relazione di attaccamento con le sue figure di riferimento, ossia da quel legame primario che il bambino (e più in generale tutti i mammiferi) sviluppa nei primi mesi di vita con l’adulto significativo, cioè con quello con cui ottiene la maggiore prossimità fisica alla nascita, solitamente la madre.
Cos’è la relazione di attaccamento?
Se pensiamo ad un neonato o ad un cucciolo di mammifero, ci è subito chiaro come l’evoluzione ci abbia predisposti in modo innato a legarci a qualcuno di più grande che possa prendersi cura di noi, il quale è a sua volta predisposto a diventare per noi la figura di accudimento (G. Liotti).
Negli esseri umani questa relazione di attaccamento si “struttura” nel primo anno di vita, diventa cioè stabile. Già a 12 mesi il bambino ha capito in quali modi quel genitore si prende cura di lui, a quali bisogni quel genitore riesce a rispondere e quali sono invece i bisogni e le emozioni che per quel genitore sono più difficili da gestire nel bambino, e il bambino si adatta. È iniziata una danza a due in cui i ballerini conoscono i passi dell’altro e li prevedono.
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Il bambino si è ora creato un “modello”, cioè delle aspettative relativamente fisse sulla madre che utilizzerà anche per muoversi nel mondo, per prevederlo e per mettersi in relazione con esso. | |
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L’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla nascita alla morte (J. Bowlby). |
Quando questa “danza a due” funziona nel migliore dei modi, il bambino esprime i suoi bisogni e il genitore sufficientemente buono è in grado di sintonizzarsi emotivamente con il bambino e di rispondere in maniera congrua, affettuosa e prevedibile alle sue richieste per la maggior parte delle volte (non sempre! I genitori perfetti non esistono!). Il bambino così ha imparato che è verosimile aspettarsi che quando lui sente un’emozione ci sarà qualcuno che lo capisce e lo sostiene e che quando ha bisogno ci sarà qualcuno in grado di aiutarlo, e questo lo fa sentire sicuro. Il legame così strutturato è chiamato attaccamento sicuro.
All’interno di questo legame il genitore diventa per il bambino una “base sicura” da cui il bambino può allontanarsi per esplorare il mondo e un “porto sicuro” da cui può tornare per chiedere protezione e conforto quando è stanco e in difficoltà.
Tutti i genitori agiscono nella relazione con il proprio bambino con l’obiettivo di fare il meglio per lui e di essere una base sicura, tuttavia gli eventi avversi della vita, la storia di ognuno di noi e il legame di attaccamento con il proprio adulto significativo, possono ostacolare la capacità di un genitore di sintonizzarsi sui bisogni emotivi e relazionali del bambino, cioè di essere sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Cos’è la sintonizzazione emotiva?
La sintonizzazione emotiva è una sorta di connessione non intenzionale e inconscia tra madre e bambino, che produce un senso di soddisfacimento reciproco, che si ha quando il genitore riesce a “sentire” l’emozione che il suo bambino sta provando in quel momento e riesce a condividerla con lui, cioè a stare con lui con quell’emozione.
Ciò che costruisce la fiducia nella relazione genitore figlio è la capacità del primo di ristabilire rapidamente e in modo efficace buone connessioni dopo un disaccordo, cioè dopo la perdita di questo legame sintonico. È il ciclo ricorrente di buona e cattiva sintonia che alla fine promuove lo sviluppo di una relazione basata sulla fiducia: un momento di rottura è seguito da sintonia e la relazione è più importante di qualsiasi conflitto (E. Tronick).
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“Buon accudimento” e “cattivo accudimento” inviano messaggi diversi nel cervello dei bambini in fase di sviluppo, e questi messaggi hanno conseguenze diverse su come il bambino si approccia al mondo, sulla sua vita relazionale, sullo sviluppo emotivo, sul benessere psicologico e sulla disponibilità ad apprendere.
Come lo sviluppo emotivo si interseca con l’apprendimento?
Le nuove teorie che si stanno sviluppando su questi argomenti (E. Simonetta, G. Liotti, B. Farina, D. Siegel) e l’esperienza clinica del nostro Studio ci fanno sempre più pensare che vi siano molti aspetti che influiscono sulle difficoltà di apprendimento, e che molti di questi siano di natura emotiva.
I Disturbi di Apprendimento possono distinguersi in due gruppi in base alla loro “eziologia”: ci sono quelli di “carattere funzionale” (come dislessia, disortografia, discalculia) e quelli di “carattere cognitivo”, che riguardano una più generale “indisponibilità” ad apprendere, con difficoltà più ampie di apprendimento. Sono questi ultimi che sembrano avere un nesso forte con relazioni di attaccamento disfunzionali o con i traumi.
Questi bambini, con storie di attaccamento disfunzionali o traumi, inizieranno ad avere lacune nei prerequisiti all’apprendimento che, se non vengono colmate, si trasformeranno in lacune cognitive più o meno gravi riguardanti le abilità di base del percorso di alfabetizzazione e scolarizzazione in generale.
In questa situazione la capacità di elaborazione dell’informazione dei bambini diventa meno efficace e ostacola la loro possibilità di apprendere anche negli anni successivi del loro percorso di studi. Talvolta può succedere che un bambino presenti questo tipo di difficoltà associate ad una dislessia: in questo caso i due disturbi si rinforzano vicendevolmente, e possono accompagnarsi a difficoltà attenzionali, ostacolando ulteriormente la possibilità di imparare del soggetto.
“La modulazione delle emozioni è il modo in cui la mente regola l’energia per il processamento delle informazioni”
Daniel Siegel |
I bambini e i ragazzi che hanno questa “indisponibilità” ad apprendere sono proprio quelli con cui l’intervento riabilitativo neuropsicologico tradizionale risulta meno efficace, che non traggono beneficio dall’uso degli strumenti compensativi e dispensativi.
Riteniamo sia importante concentrarsi su coloro che presentano queste caratteristiche per comprendere meglio l’eziologia del disturbo, per effettuare un percorso di trattamento più efficace e per promuovere lavori di prevenzione atti a sensibilizzare genitori e insegnanti.
Nella nostra esperienza clinica questo è il tipo di difficoltà di apprendimento che più frequentemente è presente nei bambini che arrivano in consultazione e, se è vero che un fattore importante legato all’origine di tale difficoltà è lo sviluppo emotivo-relazionale del bambino, allora anche l’approccio clinico dovrà modificarsi. La valutazione dovrà necessariamente comprendere gli aspetti affettivi oltre a quelli cognitivi e la presa in carico dovrà prevedere, oltre all’intervento tecnico-riabilitativo, un percorso di tipo psicoterapeutico.
Quindi quando noi genitori o insegnanti vediamo che il nostro bambino ha difficoltà a scuola e negli apprendimenti, oltre a concentrarci sugli aspetti didattici è fondamentale che prestiamo grande attenzione agli aspetti emotivo-relazionali che si intersecano ad essi nel percorso di apprendimento poiché centrali per lo sviluppo della capacità di apprendere: solo un cervello “tranquillo” è nelle condizioni di poter imparare.
Un messaggio importante che noi genitori dobbiamo avere sempre ben chiaro in mente è che “non è mai troppo tardi” per aiutare il nostro bambino a cambiare quel “modello” formato dalle aspettative che il bambino si crea sulla madre e sul mondo, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo.
Cambiando qualcosa nella relazione con il proprio figlio le sue aspettative sul genitore possono cambiare e tale modello può modificarsi, a qualsiasi età.
“Le emozioni costituiscono i processi fondamentali attraverso i quali la mente conferisce valori e significati a eventi interni ed esterni, che indirizza i nostri meccanismi attenzionali nell’ulteriore elaborazione di queste rappresentazioni”
Daniel Siegel |