Quando l’ansia è grande… sin da piccoli
A cura di Dott.ssa Elena Ciampi – psicologa e psicoterapeuta
Molto spesso, sempre più spesso, arrivano nel nostro studio ragazze, ragazzi, ma anche bambine e bambini, che raccontano di sentire molta, tantissima ansia. Spesso accogliamo genitori preoccupati perché vedono i propri figli e le proprie figlie soverchiati dal peso dell’ansia e si domandano come poter essere loro d’aiuto.
L’ansia è tipica di ogni età dell’essere umano, ed è una condizione normale, funzionale. Comporta, il più delle volte, sensazioni spiacevoli, di inquietudine e di agitazione.
Fatta dunque questa premessa, nel voler aiutare i propri figlie e le proprie figlie è bene tenere a mente che provare ansia non è di per sé patologico. L’ansia è un’importante riposta che il nostro corpo e la nostra mente producono di fronte ad una minaccia reale o presunta.
Ci si può chiedere quale sia (se ci sia) allora una differenza tra ansia e paura. In effetti le due sono condizioni per molti aspetti “parenti” tra loro: entrambe attivano il sistema nervoso simpatico e determinano un rilascio di adrenalina, ovvero quel neurotrasmettitore che ci fa sentire scattanti, pronti all’azione. Sia l’ansia che la paura migliorano la nostra capacità di attenzione, memoria, apprendimento e problem solving (ovvero la capacità di trovare velocemente una soluzione ad un problema). Sembrerebbe dunque, stando a questi elementi, che ansia e paura, in qualche misura, ci facciano bene; in effetti, in un certo senso, è così. Di fronte a qualcosa che percepiamo come minaccioso, davanti ad un pericolo, ansia e paura ci permettono di metterci in azione, scappare se necessario, trovare rapidamente soluzioni efficaci, immagazzinare in memoria l’esperienza fatta così da saperla affrontare, o evitarla, in futuro.
Pensiamo a quanto tutto ciò è stato utile nel corso della nostra evoluzione: se i nostri antenati non avessero prontamente trovato riposte efficaci per sopravvivere alle minacce e ai pericoli (ad esempio scappando il più velocemente possibile con tutta la forza presente in corpo), la nostra specie avrebbe forse avuto sorti diverse. Insomma, bene che chi ci ha preceduto abbia sperimentato ansia e paura e, grazie alle risposte neurofisiologiche che esse innescano, si sia potuto proteggere, abbia imparato come stare al sicuro e sopravvivere. Bene ancora oggi, anche a fronte di pericoli diversi da quelli con cui si sono confrontai i nostri antenati, aver comunque ereditato e preservato la possibilità di metterci al riparo, di recuperare rapidamente le energie necessarie per scappare o fronteggiare un pericolo.
Sebbene dunque ansia e paura siano parenti perché entrambe, attraverso il cosiddetto “circuito della paura”, ci predispongono alla protezione, sono però diverse per un’importante caratteristica: la paura insorge quando una minaccia è specifica e reale, sta per accadere; l’ansia invece insorge quando valutiamo, pensiamo che una situazione sia pericolosa o allarmante. Il pericolo non è lì, davanti a i nostri occhi, ma è nei nostri pensieri, nelle previsioni di quanto pensiamo possa accaderci. L’ansia ha a che fare con il futuro, con lo scenario che stiamo immaginando, prevedendo.
Sia l’ansia che la paura non sono condizioni piacevoli, ma sono parte della nostra natura e sono necessarie per stare al mondo.
Questa è una prima, importante considerazione che consigliamo ai genitori di tenere a mente. Immaginandoceli a dialogare con un figlio, o figlia, angosciato dall’ansia, in preda ad agitazione, irrequietezza è importante sapere che non è detto che stia capitando niente di patologico; indubbiamente non sarà un momento piacevole, ma non necessariamente patologico.
Come fare per calmare, riportare serenità nella mente e nel corpo del proprio figlio/a in ansia?
Suggeriamo di provare due strade: riportare al qui ed ora e sfruttare la potenza degli “interruttori emozionali”.
Abbiamo chiarito che l’ansia compare a fronte di un immaginario futuro ipotizzato come catastrofico e terribile: in quel momento tutte le risorse cognitive ed emotive di nostro figlio saranno impiegate per studiare nei dettagli quell’immaginario, per sondare ogni sua sfumatura e intravederne ogni particolare così sentirsi più capace di fronteggiarlo. L’impressione è che, più si sta in quello scenario, più lo si possa controllare. A ben pensarci, questo sforzo non è poi così assurdo: “conosci il tuo nemico” scriveva Sun Tzu. Ma, la differenza, è che il nemico non è presente, ma “solo” immaginato. Spesso, in preda all’ansia, siamo proiettati in un futuro terribile, catastrofico di cui non abbiamo alcun dato di realtà perché il futuro è per sua natura, in divenire, imprevisto, non prevedibile (almeno, non del tutto e non sempre). È fondamentale dunque riportare i nostri figli al presente, conoscibile e ben più controllabile (in sostanza l’invito potrebbe essere: non preoccuparti troppo della verifica di domani, occupati dello studio di oggi). Riportare al qui ed ora disinnesca o attenua l’affannoso tentativo di controllare ciò che ancora deve accadere e aiuta a ripristinare la calma, ad organizzare le risorse e a sentirsi protagonisti del proprio tempo. Ciò non evita del tutto di confrontarsi con l’imprevedibilità del divenire, di fatto una condizione della nostra esistenza con la quale tutti gli esseri umani sono chiamati a misurarsi; è bene pensare che i nostri figli e figlie possano fare “palestra” di questa condizione via via che crescono con l’aiuto, il confronto e la vicinanza dei loro genitori.
Un potente strumento per tornare nel qui ed ora? Il respiro. Concentrarsi sul proprio respiro e riprenderne consapevolezza offre la possibilità di radicarsi al momento presente, sentirsi di nuovo qui e non più laggiù a fronteggiare quella minaccia terribile. L’aspettativa non è che portando l’attenzione al respiro, l’ansia crolli e la calma immediatamente prevalga; l’obiettivo è piuttosto abbassare il livello dell’ansia come si trattasse di ruotare la manopola del volume, riportare l’ansia in una dimensione tollerabile. Un altro modo per riportare al qui ed ora? Porre la domanda: quali prove hai che le cose andranno così? Dimostrami che questo scenario che ti stai immaginando è il più probabile. L’ansia fa bene il suo mestiere e produce numerose argomentazioni a suo favore, ma laddove si riesca ad instaurare un dialogo autentico, è possibile che attraverso queste domande i ragazzi stessi possano osservare quanto si siano allontanati dalla realtà e possano, anche in questo caso, abbassare il volume dell’ansia e prendere di nuovo contatto con la realtà.
E gli interruttori emozionali cosa sono? Per comprenderlo è necessario fare un passo indietro e ripensare a quel “circuito della paura” poco fa descritto. Quel meccanismo ha fra i suoi protagonisti alcune strutture che si trovano nel nostro cervello, nella sua parte centrale tra i due emisferi. Queste strutture (talamo, amigdala, ippocampo) corrispondono alla nostra “centralina delle emozioni”. L’amigdala in particolare invia i segnali d’allarme che mettono in moto tutte le risposte, per lo più involontarie, che ci fanno reagire alla minaccia. Sono aree del nostro cervello con le quali non si può dialogare a parole (la razionalità risiede nelle zone più “alte”, corticali, del nostro encefalo): queste piuttosto rispondono a segnali di altra natura, emotivi appunto. Chi si è trovato nella situazione di voler calmare, rassicurare un figlio o una figlia in preda all’ansia ha presto capito che usare parole come “stai tranquillo, calmati, rilassati, andrà tutto bene” spesso è pressoché inutile se non, in alcuni casi, percepito addirittura come fastidioso. L’amigdala non si convince a parole. Meglio usare allora altri interruttori, altre strade che non sollecitino (solo) la razionalità, ma che arrivino direttamente alla parte emotiva del nostro cervello: lo sguardo, il tono della voce, il contatto fisico e il sorriso. Attraverso un buon uso di questi elementi possiamo trasmettere vicinanza, sostegno, presenza all’amigdala in allarme di nostro figlio o figlia. Una leggera carezza, un abbraccio, un sorriso autentico, qualche parola detta con calma e calore, uno sguardo benevolo possono fare la differenza e, via via, ripristinare la calma. È utile considerare anche che, per contro, se usati nel modo opposto, questi stessi elementi possono innescare o peggiorare lo stato di allarme e di ansia.
Quali sono invece i campanelli di allarme da non sottovalutare?
Una volta compreso che l’ansia non è di per sé una condizione patologica, ma bensì una risposta fisiologica, è prezioso però riconosce quando l’ansia diventa disfunzionale.
La letteratura mostra, soprattutto tra gli e le adolescenti, un aumento dei disturbi d’ansia e dell’umore tristemente notevole. La pandemia ha accelerato e portato a galla condizioni ambientali e culturali che impattano in modo notevole sull’aumento dei disturbi d’ansia (tra cui ad esempio un certo utilizzo dei device, dei social e del web).
Senza volere a tutti i costi rendere patologica una condizione fisiologica, quali sono i campanelli d’allarme, i segnali che posso indicare un livello d’ansia non più fisiologico? Può essere utile tenere in prima battuta in considerazione il criterio dell’adattamento: l’ansia fisiologica garantisce un miglior adattamento all’ambiente, quella non fisiologica si frappone fra l’individuo e l’ambiente impedendo di trovare risposte efficaci alle situazioni problematiche. Altri criteri sono l’intensità, la durata e la frequenza: un conto è provare ansia, anche intensa, prima di una verifica o di una partita, un conto è sentirsi per molta parte della giornata in preda all’ansia, senza saperla ricondurre ad un evento, contesto o situazione. Altro importante campanello d’allarme sono i sintomi somatici come ad esempio mal di testa, mal di pancia, difficoltà a dormire o respirare. A fronte di queste manifestazioni del corpo è sempre utile, comunque, confrontarsi con un medico per escludere cause organiche. Altri segnali da intercettare sono il disinvestimento e l’evitamento di attività fino a quel momento svolte con sufficiente serenità: si possono osservare dunque una certa resistenza ad andare a scuola, ad allenamento, ad uscire di casa da soli o con gli amici.
A fronte di queste osservazioni il primo consiglio è quello di cercare il dialogo con i propri figli e figlie, attivando gli interruttori emozionali giusti, per tematizzare e dare spazio al loro vissuto. Non si tratta per forza di trovare spiegazioni o soluzioni immediate, ma di iniziare a porre la questione in termini problematici, aprendo all’esplorazione di quanto sta accadendo. Può essere prezioso rivolgersi ad uno psicologo/a o psicoterapeuta così da condurre questa esplorazione insieme, individuare strategie di modulazione dell’ansia, coglierne il senso e prendersi cura, laddove presenti, delle sue manifestazioni non fisiologiche.
Bibliografia:
- Lucangeli, Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Erickson, 2019
- Haidt, La generazione ansiosa, Rizzoli, 2024
- Vicari, M. Pontillo, Domani resto a casa, Erickson, 2024
- Vicari, M. Pontillo, L’ansia nei bambini e negli adolescenti, Il Mulino, 2020